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10 maggio 2011
di Maurizio Boscarol
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2013

i magistrati sono un cancro. Li sconfiggerà entro il 2013

12 aprile 2011
di Maurizio Boscarol
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Meno Caimano, più De Sica

Natale in tribunale: l'ultima farsa dei Vanzina, scritta da Silvio!

Un aspetto caratteristico della scelta di comunicazione politica del Silvione, mi pare non replicata da alcun concorrente, è quella di mettersi al centro di una storia dove lui è il protagonista, lotta contro il male, e noi (un noi ipotetico, eh…) ci identifichiamo nelle sue gesta, ridendo, godendo e penando per lui.

Di politico c’è poco. Quasi sempre, infatti i temi politici sono espunti dal discorso. Si tratta di temi che contano perché incidono su di lui, sulla sua battaglia, sul suo personale percorso. Prima ancora delle posizioni di destra estrema, della visione reazionaria (che potrebbe avere per esempio la Lega, l’unica che fa politica oggi in Italia), il metodo di Berlusconi è di autoriferirsi tutto. Tutto quello che conta per i cittadini, conta perché conta prima di tutto per lui. Altrimenti non conta. Se non ci è coinvolto lui, non conta. Se ci è coinvolto lui, allora, tramite suo, ce ne possiamo occupare, parteggiando naturalmente per l’eroe.

La casa di Lampedusa in fondo è questo: me ne occupo io, al punto che ci compro anche casa. La giustizia: uguale. Non conta che non ci siano risorse o i processi siano lenti, conta che le intercettazioni non devono essere prove, che il PM è cattivo, ecc. Conta il suo punto di vista, che come in ogni film è anche il nostro.

Probabilmente ci sono almeno due ragioni per questa scelta narrativa. La prima è che non poteva fare altrimenti: diventare l’eroe di una storia, presentarsi come eroe che lotta contro il male, è l’unico modo per far accettare ad un ampio pubblico le vicissitudini di uno che ha tali e tante pendenze giudiziarie che se fosse percepito con meno empatia, verrebbe giudicato un delinquente e basta. L’identificazione emotiva come modo per far superare il giudizio morale, insomma, per spostarlo su un piano non fattuale.

La seconda ragione è “pedagogica”. Imbastire la narrazione popolare di cui lui è protagonista unico, contro i poteri occulti e invisibili di uno Stato oppressore, incarnato di volta in volta da questo o quel nemico concreto (D’Alema, piuttosto che Prodi, piuttosto che il PM di Milano, poco cambia il senso) è un modo per semplificare i concetti ad uso di un pubblico che altrimenti non capirebbe. Da sempre, d’altronde, le storie sono usate come meccanismi semplificatori. Quindi, un pubblico che i tecnicismi dei processi e dei reati non li capisce, né capisce le complessità dei meccanismi parlamentari, delle leggi, delle tasse, capisce meglio la semplificazione fornita dal suo punto di vista narrativo in questa storia di lotta contro tutto e tutti.

C’è forse da sorprendersi che il giochetto riesca, lui che è tutto meno che un isolato che lotta contro tutti (fa parte del gioco farsi percepire così, tanto che persino Giuliano Ferrara ha finito per crederci, o per fingere di crederci, non so), ma piuttosto il terminale e dominus di un apparato di potere che ha saputo ben coagulare.

Meno sorprendente è che i toni della narrazione non sono quelli che crede parte della sinistra, che vede con cupore i rischi di, che ne so, guerra civile, complotto massonico e di anti-stato ai danni dello stato. No, i toni della narrazione sono quelli della farsa scollacciata. Ho il sospetto che la sinistra (in particolare: l’opposizione di centro o di destra mi pare che capisca meglio questo aspetto) non riesca a vedere serenamente che quello che viene giudicato imbarazzante è proprio parte dello stile narrativo scelto. Opporvi visioni cupe alla “Caimano” serve solo a scavare un fossato con il frame interpretativo degli elettori di destra. Che si allontaneranno sempre più da un’interpretazione che per loro è già lontanissima. Loro vedono la storia di Berlusconi come un “Vacanze di Natale in Tribunale contro i Poteri occulti”, invece che come il “Caimano”.

Non conta cosa sia. Ma quella è la sintonia, quello è il linguaggio. Con quel tipo di interpretazione bisogna fare i conti.

E con l’uomo politico che è parte della narrazione: nemmeno Vendola arriva a tanto. A sinistra son tutti demiurghi, mai eroi eponimi. Solo Di Pietro ha adottato in parte lo stesso schema, il contadino Sancho Panza che lotta contro i Mulini a Vento dell’ingiustizia… E invece questa personalizzazione pazzesca è proprio il punto cruciale della propaganda silviesca. Dopo di lui, quindi, che succederà? E quanto è appropriato, in democrazia, avere governanti che sono visti come eroi popolari (e il punto vale per i vari Castro, Chavez, Lula… democrazie per modo di dire o neanche quello, ma che a sinistra piacciono stranamente tanto)?

31 marzo 2011
di Maurizio Boscarol
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Onestamente...

Dopo 17 anni di tentativi, si può ancora chiamare breve, questa prescrizione?